UNA REGIONE APERTA ED EUROPEA

Progettare e lavorare per l’inclusione e per i diritti di tutti e per tutti

da Regione di confine a Regione ponte

L’Europa e l’Italia stanno vivendo una fase regressiva che si caratterizza per un sempre più esplicito rifiuto del riconoscimento dell’universalità dei diritti fondamentali dell’individuo a favore di un nuovo approccio basato sul riconoscimento dei diritti solo a chi può vantare appartenenza al corpo sociale dominante o maggioritario.  

Si tratta di appartenenze declinate, spesso in modo assai confuso, su presunte identità etniche, culturali, linguistiche, religiose e persino razziali poichè si assiste a un’inedita ripresa di razzismi, ancora confinati – ma per quanto? – a gruppi estremisti.

Si avverte una spinta crescente a concepire forme di società aventi caratteristiche del tutto contrapposte alle “società aperte”. Sono “società chiuse” in cui l’esercizio dei diritti fondamentali è subordinato all’appartenenza, anche solo presunta, dello stesso individuo al gruppo che detiene le regole del gioco.

In tale scenario il “diritto” perde le sue caratteristiche essenziali e finisce spesso con l’essere percepito come “privilegio”. 

La crescente insofferenza verso gli stranieri e l’esplicita xenofobia manifestata da diverse formazioni politiche rientra in questo quadro e va contrastata attraverso politiche nazionali e regionali che rimettano al centro la dignità della persona, l’universalità dei diritti fondamentali e il contrasto a ogni forma di discriminazione.

Nelle società chiuse tutti gli individui sono potenziali vittime di discriminazioni che possono esplodere (o restare quiescenti) a seconda del contesto socio-economico del momento e le “ragioni” e le forme di discriminazione sono innumerevoli e in continuo mutamento e intreccio tra di loro: discriminazioni di natura etnica-nazionali, di condizione e appartenenza a un determinato gruppo sociale, di orientamento sessuale…

Il contrasto a ogni forma di discriminazione e l’attivazione di azioni positive a sostegno dell’effettivo esercizio dei diritti da parte dei soggetti più deboli e a rischio di esclusione devono assumere maggiore centralità nella politica regionale. 

Ad esempio, non appare sufficiente istituire un servizio contro le discriminazioni (anche se si è trattato di una scelta importante) ma è necessario attivare un piano regionale finalizzato a sostenere programmi specifici, anche sperimentali, e a fare formazione al personale della pubblica amministrazione a tutti i livelli.

Inoltre, pur riconoscendo l’importanza delle azioni finora intraprese, le dimensioni assunte dalla piaga dell’omofobia e del bullismo sono inquietanti, anche in FVG. Appare quindi necessario adottare un nuovo e più energico piano regionale di intervento su questi temi che riguardi tutti gli ambiti (sanitario, scolastico, culturale) e valutare se non sia opportuna l’adozione di norme regionali in materia di omofobia, al pari di quanto fatto in altre regioni.

Per quanto riguarda l’inclusione dei minori, registriamo che nel giro di pochi anni la media degli alunni stranieri, o aventi almeno un genitore straniero o di seconda generazione, si attesterà attorno al 40% nelle principali aree urbane e in alcune località supererà il 50%. Si tratta di un cambiamento interno al sistema scolastico e sociale che va affrontato con strumenti nuovi che rafforzino gli interventi positivi già fatti dall’amministrazione regionale uscente. In particolare è necessario:

  • Prevedere che le competenze all’insegnamento della lingua italiana quale seconda lingua diventino patrimonio comune al corpo docente.
  • Rafforzare la mediazione linguistica nelle scuole.
  • Rafforzare notevolmente l’intervento dei centri di educazione permanente per gli adulti in modo che il numero e la qualità dei corsi disponibili siano effettivamente parametrati al numero degli stranieri adulti e al relativo bisogno formativo, con una particolare attenzione alle donne.
  • Dar seguito alla nuova legge regionale sull’integrazione sociale dei cittadini stranieri (L.R 7 aprile 2017, n. 47) che ha rimediato all’indecorosa cancellazione avvenuta nella precedente legislatura della previgente legge regionale in materia (L.R. 5/2005) e che ha rappresentato un’importante scelta di civiltà. Tuttavia è intervenuta con notevole ritardo nel corso della legislatura. Gli interventi previsti dalla legge regionale, specie in relazione alle scuole e ai minori stranieri non accompagnati, vanno rafforzati.

Per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti asilo in FVG, la situazione è assai critica. Infatti, nonostante ci siano nella regione sistemi di eccellenza cui si guarda come modelli a livello nazionale (come nel caso – ma non solo – dell’esperienza triestina dell’accoglienza diffusa), gran parte degli interventi regionali sono ancorati all’accoglienza straordinaria (CAS), spesso erogante servizi meramente essenziali e senza alcuna attenzione ai processi di inserimento sociale dei beneficiari.

Se in tutto il territorio nazionale si registra purtroppo una mancata attuazione delle disposizioni previste dal D.Lgs 142/2015 con un sistema SPRAR che raggiunge a malapena il 20% dei posti complessivi, in FVG questa percentuale scende addirittura sotto il 10% confinando la nostra regione tra le peggiori in Italia.

Si tratta di una seria sconfitta che va riconosciuta e alla quale bisogna reagire al più presto in quanto la cattiva accoglienza, anche in FVG, è fonte alla quale si alimentano forze sociali e politiche regressive il cui impatto sulla vita pubblica locale è allarmante. La ratio della norma nazionale è quella di portare progressivamente il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei rifugiati nell’ambito dei servizi socio-assistenziali del territorio, con attribuzione alle amministrazioni locali dei compiti di gestione dell’accoglienza, in attuazione dell’art. 118 della Costituzione. La programmazione, la gestione e il finanziamento del sistema di accoglienza è di competenza statale, ma la Regione Autonoma FVG ha facoltà di adeguare alle sue esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e di attuazione in alcune materie come l’assistenza sociale. Ciò ha permesso alla Regione di sperimentare forme innovative di welfare quali quelle previste dalla L.R. 35/2017.

Senza alcun contrasto ma a integrazione delle misure previste dalla legge nazionale (D.Lgs 142/2015) la Regione FVG dovrebbe:

  • Dotarsi di un Piano regionale sull’accoglienza, in accordo con le competenti Autorità statali che vincoli maggiormente le amministrazioni comunali e le UTI ad attivare, sulla base di quote stabilite sulla base di parametri oggettivi, programmi locali di accoglienza inseriti nella programmazione socio-assistenziale territoriale, superando l’aleatorio criterio della volontarietà che ha creato situazioni disomogenee e gravi disfunzioni.
  • Concordare con le autorità statali che, nelle more dell’effettiva piena implementazione dello SPRAR in tutto il territorio regionale, tutti i titolari di protezione internazionale o umanitaria usufruiscano di un periodo di accoglienza successivo al riconoscimento giuridico che consenta di attivare percorsi di inserimento sociale evitando di “gettare in strada”, come ora avviene quasi ovunque in regione, persone che hanno pieno titolo a rimanere in Italia per un riconosciuto diritto di protezione ma che sono interamente privi di mezzi economici e che finiscono inevitabilmente nella marginalità sociale con serie ricadute per la sicurezza sociale della comunità.
  • Concordare con le autorità statali un diverso modello di gestione della prima accoglienza che eviti le gravi e indecorose situazioni di abbandono che si producono da alcuni anni in diversi territori e specie a Gorizia.

La parità di trattamento dello straniero regolarmente soggiornante nell’accesso alle prestazioni sociali rispetto al cittadino italiano costituisce, in Italia come in Europa, un obiettivo fondamentale per garantire una società più giusta e più coesa ed evitare situazioni di emarginazione e di conflitto sociale.
Ma anche per garantire una effettiva mobilità dei lavoratori, componente essenziale per la crescita economica. Il mancato intervento legislativo in questo campo e la generale confusione normativa sulla materia ha largamente contribuito ad alimentare la deriva xenofoba attuale imperniata sul grido di battaglia “prima gli italiani”.

Ogni forma di sostegno alla famiglia e all’inclusione attiva nonché altra forma di sostegno al reddito che spesso (e con difformità sul territorio nazionale) viene limitata ai soli titolari di permesso di lungo periodo, ai familiari di comunitari e ai titolari di protezione internazionale è iniqua e irragionevole perché esclude proprio quelle categorie che si trovano presumibilmente in condizioni di maggiore povertà, non avendo potuto accedere al reddito minimo necessario per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo. Occorre pertanto, anche al fine di evitare una vergognosa guerra tra poveri, che le prestazioni di supporto sociale siano erogate a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti che si trovino nella effettiva situazione di bisogno a parità di condizione con i cittadini. Su questo aspetto la Regione FVG oltre a gestire le proprie risorse in materia di assistenza deve agire affinché le altre regioni e lo Stato si allineino alla medesima prospettiva di equità e giustizia, rivedendo molte scelte inopportune realizzate finora.

REGIONE PONTE

Quella di essere una “Regione ponte” rappresenta, per il Friuli Venezia Giulia, una vocazione storica. Un territorio posizionato nell’Europa centro-orientale, e sbocco al mare di quest’ultima, deve potersi raccordare in maniera rilevante e il più possibile diretta con il Paese e con i territori confinanti, per cogliere al meglio le occasioni offerte dall’integrazione e dalle sinergie culturali, sociali ed economiche. È necessario proseguire con ancora maggiore convinzione nel rafforzamento di collegamenti ferroviari, portuali, aeroportuali, oltre che investire nelle infrastrutture di comunicazione digitale, sempre più decisive in un’economia della conoscenza.

Azioni concrete per una Regione ponte

  • Sfruttare appieno il nuovo Polo intermodale di Ronchi, utilizzando e potenziando la rete esistente di collegamenti ferroviari regionali, migliorando e velocizzando i collegamenti sia verso Venezia e l’Italia, sia verso Austria e Slovenia con particolare riferimento a Capodistria, Lubiana e Vienna.
  • Consolidare le scelte sulla portualità, assunte da Comune, Authority e Regione in una coerente ottica di sistema, che hanno tolto il porto di Trieste da anni di immobilismo e lo hanno inserito in una moderna ottica regionale. È necessario rafforzare, in questa prospettiva, lo sviluppo di un sistema regionale della portualità e della logistica e la cura delle relazioni internazionali necessarie ad alimentarlo, valutando la realizzazione di un vero e proprio Piano regionale della logistica per programmare gli investimenti e le strategie nel settore negli anni a venire.
  • Perseguire il potenziamento dei collegamenti ferroviari, valutando con attenzione le richieste di razionalizzazione e di dismissione di tratte impattanti richieste dai cittadini. Monitorare il traffico su gomma e vanno studiate misure alternative al traffico e di mitigazione dell’alto impatto ambientale che la terza corsia sta provocando e provocherà.
  • Dar seguito alle iniziative del Programma ERMES (Excellent Region in a Multimedia European Society) per l’abbattimento del digital divide attraverso la cablatura della regione con la fibra ottica, tra le quali vi è la cessione in uso, a seguito di procedure ad evidenza pubblica, di quote dell’infrastruttura regionale a banda larga, eccedenti le necessità della Pubblica Amministrazione. Il digital divide che vede alcuni cittadini della regione svantaggiati rispetto ad altri (si pensi al territorio montano e agli abitati marginali) va progressivamente colmato.
  • Promuovere l’alfabetizzazione digitale della cittadinanza, soprattutto anziana, senza lasciare indietro le fasce più deboli e tenendo conto che il digital divide non è solamente una questione infrastrutturale, ma anche sociale. Il fattore abilitante delle tecnologie digitali è tale solamente se lo è per tutti, altrimenti accresce le disuguaglianze.
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