Temi e proposte

PER UNA REGIONE APERTA

Il nostro programma e le azioni prioritarie per il Friuli Venezia Giulia
2018 /2023

PARTECIPAZIONE E CONFRONTO

una politica a filiera corta

Il movimento OPEN FVG tiene insieme esperienze politiche, civiche e di impegno e partecipazione nella società civile diffuse a livello regionale.

Un rete che nasce e progetta sul territorio, a partire dalle specificità, valorizzandole e rendendole attive in un contesto regionale.

Questo essere spazio “aperto” alla confluenza di esperienze concrete rende OPEN FVG un’esperienza del tutto innovativa in Friuli Venezia Giulia.

Solo a partire da una rete locale attiva può crescere una visione che concepisce la nostra regione come un territorio pienamente collocato nello spazio europeo in cui sviluppare progettualità, competenze, innovazione, dotazioni tecnologiche, politiche ambientali e sociali fondate sulla sostenibilità e rivolte al futuro.

Per tali ragioni l’ascolto del territorio deve essere al centro del lavoro politico. È necessario che la Regione promuova una metodologia di ascolto e partecipazione. Chi ascoltare? Innanzitutto i cittadini, sperimentando e creando momenti e modalità in cui l’ascolto, il confronto e lo scambio diventino esperienze realizzate. Un percorso da progettare e mettere in pratica da subito.

L’istituzione Regione deve poi rivolgersi anche ai livelli di governo periferici: Comuni, Unioni intercomunali e organismi rappresentativi dei portatori di interesse devono essere maggiormente coinvolti e ascoltati. In questo senso vanno ricuciti con convinzione gli strappi avvenuti nelle passate legislature e vanno ridotti i contenziosi tra la Regione e gli altri livelli di governo locale, favorendo un autentico dialogo.

Un nuovo metodo di confronto attivo deve essere inaugurato e diffuso. È una priorità.

INNOVAZIONE

imprese, università e ricerca insieme per un lavoro più qualificato e tutelato

agricoltura, viticoltura e artigianato dalla tradizione al futuro

Gli investimenti pubblici virtuosi devono essere al centro dello sviluppo economico dei territori. 

È il pubblico che si fa carico del rischio d’investimento iniziale all’origine delle nuove tecnologie (anche della comunicazione digitale, la celebre banda larga), che finanzia la ricerca, che produce gli strumenti più rivoluzionari nell’ambito delle telecomunicazioni, delle biotecnologie, della farmaceutica.

Nella società della conoscenza il motore dello sviluppo sta nell’università e nella ricerca, in rapporto con le imprese.

Sono urgenti interventi mirati, che concentrino progetti e risorse nei settori della specializzazione intelligente, puntando con ancora più decisione sull’innovazione e sul trasferimento tecnologico dal sistema regionale della ricerca alla produzione. Investire nell’università, nella ricerca e nel loro rapporto sinergico con il sistema produttivo (ad esempio attraverso i parchi scientifici e tecnologici) significa creare dinamismo nel sistema. Questa operazione può aumentare la qualità del lavoro, dipendente e autonomo di seconda generazione. Inoltre può ed è l’unica che permette di rallentare e invertire il fenomeno della fuga dei cervelli, e soprattutto di favorire il poco considerato rientro dei cervelli, dando ai giovani nuove occasioni di lavoro e realizzazione delle proprie potenzialità.

Tradizione e innovazione devono essere i punti fondamentali per lo sviluppo economico della  regione. Il senso è quello di puntare sulla vocazione territoriale storica del FVG sia nel settore del manifatturiero speciale, dell’agricoltura, della valorizzazione territoriale e del turismo. 

Intendiamo valorizzare la qualità che già offrono il nostro territorio e le nostre PMI, attraverso un processo di accompagnamento da parte delle istituzioni, indirizzato verso le nostre imprese e verso i lavoratori. Un processo che non si alimenti solo degli aiuti di stato, ma capitalizzi sui fondi europei, soprattutto quelli di coesione.

Il tema dell’informazione capillare e corretta diventa determinante, anche attraverso l’investimento nei settori emergenti delle competenze informatiche (internet of things – internet delle cose, big data – scienze dei dati, tecnologie web). È utile favorire anche chi ha avviato processi di internazionalizzazione e tenta di competere su scala più ampia.

Fondamentale è il sostegno all’agricoltura biologica, sia attraverso il sistema della ricerca che dell’infrastruttura.

L’agricoltura biologica deve divenire elemento sinergico di lavoro agricolo, tutela del paesaggio, recupero e sviluppo culturale.

Favorire la certificazione biologica è prassi positiva e necessaria, ma oggi non è di per sé sufficiente per favorire uno sviluppo agricolo ambientalmente compatibile. Il lavoro agricolo va pensato nel contesto paesaggistico, e non come mera unità produttiva scollegata dal contesto ambientale.

Va altresì sostenuto il lavoro agricolo e vitivinicolo sensibile alla tutela di un territorio che sia d un tempo produttivo e ambientalmente protetto. Grande importanza, per la cura del paesaggio, hanno gli appezzamenti agricoli e viticoli misti a bosco e altre colture. In Friuli e nel Carso grande valore culturale hanno i vigneti storici, ancora produttivi. Si tratta di elementi che sono potenziale motore diffuso di tutela e valorizzazione del territorio e, più in generale, degli ecosistemi e del paesaggio, beni primari in questa regione che registra tra i più alti valori di geodiversità in Europa, la cui erosione deve essere scongiurata ed evitata.

In agricoltura vanno recuperate, favorite e sostenute le colture (varietà agricole e viticole) che caratterizzano la storia e la cultura materiale di questo territorio, con particolare riferimento alla varietà tradizionali e dimenticate o espulse dall’iperproduttivismo agricolo figlio della green revolution che ha portato a colture standardizzate, poco competitive e che hanno rischiato di cancellare quella specificità culturale e produttiva.

La produzione locale va sostenuta in una dimensione di filiera corta, in cui l’atto del produrre sia seguito dall’atto distributivo in una scala di vicinanza, in modo che il territorio benefici, per primo, delle proprie produzioni e le sostenga in modo diretto. Il concetto di filiera corta, di per sé insufficiente a garantire un’agricoltura sensibile, troverà maggiore valore se associato al biologico, alle produzioni di recupero di colture autoctone, al lavoro agricolo sensibile che, indirettamente, tuteli il paesaggio.

Vanno rafforzati e semplificati gli strumenti che permettano di pensare all’azienda agricola, anche quella di piccole dimensioni, come luogo di inclusione sociale, coinvolgendo lavoratori socialmente utili o diversamente abili, recuperando il senso dell’azienda agricola di questa regione, che è storicamente sempre stata luogo di coinvolgimento dei soggetti deboli della famiglia, del vicinato, della contrada.

Tutto questo rientra nella piena declinazione della multifunzionalità agricola: fare agricoltura non significa solo produrre beni agricoli, ma essere in una relazione attiva con la tutela delle risorse ambientali, del suolo e del popolamento vitale delle zone agricole.

In questo senso, nell’ottica di una revisione della Politica Agricola Comunitaria, il mantenimento dei sussidi va inteso soprattutto come compensazione economica del lavoro di conservazione del paesaggio, laddove questo venga effettivamente compiuto.

Ecco che gli incentivi contribuirebbero a promuovere la produzione agricola intesa nel suo storico ruolo di preservazione di un territorio, che aumenterà la sua vivibilità e godibilità per gli abitanti e anche per quel crescente turismo slow che è attento alla tutela dell’ambiente da un lato e in ricerca di piccole produzioni “buone, pulite e giuste” di cui a loro volta si faranno ambasciatori nei loro luoghi di provenienza, diventando preziosi promotori del territorio regionale.

A tale proposito un ragionamento condiviso con i soggetti in causa va realizzato sulle filiere di produzione, trasformazione e consumo, con la finalità di studiare possibili reti che rafforzino da un lato la filiera corta e il consumo locale e dall’altro diventino propositivi e visibili all’esterno della Regione.

Si deve proseguire nell’individuazione di leggi efficaci per la ricomposizione fondiaria soprattutto in montagna. Solamente in questo modo sarà possibile superare l’attuale pesantissimo handicap della frammentazione e polverizzazione che rende non sostenibili le aziende.

La via maestra da percorrere è quella di favorire le produzioni specifiche, di eccellenza e di identità colturale, e artigianale.

La nostra regione non deve illudersi di poter competere a livello internazionale attraverso produzioni massive, se non in settori ad alto valore aggiunto. È la valorizzazione delle eccellenze a dover diventare valore identitario regionale e conseguente fattore competitivo determinante. In questo contesto è centrale, e deve rivolgersi in questa direzione, la formazione di figure professionali adeguate per l’agricoltura, per il turismo e per gli altri settori.

Ma nel processo dell’innovazione si deve tenere conto che ogni innovazione ha dei vincenti, ma anche dei perdenti. E una visione autenticamente di sinistra e popolare deve sfuggire a certe facili strategie. Siamo contro, dunque, a una cultura della meritocrazia ottusa.

Nell’era della prestazione estrema, il benessere collettivo è raggiungibile solo attraverso un lavoro di squadra che non lasci indietro i perdenti dell’innovazione. Il principale guasto del liberismo e della meritocrazia sfrenata è proprio la disparità. E questo è un rischio mortale per i valori autentici della democrazia.

Azioni concrete per l’ innovazione 

  • Sostenere il Sistema Universitario Regionale, promuovendo sia la ricerca teorica sia i progetti di trasferimento tecnologico in stretto rapporto con il settore produttivo.
    Garantire diffusamente il diritto allo studio a tutti i privi di mezzi, con attenzione all’uso della parola “meritevoli” perché rischia di non farci mettere a fuoco le disparità;
  • Creare contesti di crescita per le imprese innovative e giovani (aziende start-up). Promuovere di luoghi e occasioni informali di incontro e formazione sul nuovo lavoro e sul digitale (coworking, fab lab).
    Sostenere i parchi scientifici e tecnologici come scuole di impresa innovativa. Fornire supporto alla costituzione di reti di PMI, ad esempio favorendo il dialogo tra queste e poli tecnologici e tenendo conto del fatto che l’innovazione è anche una questione culturale.
  • Sviluppare l’agenzia per le imprese in modo che possa essere realmente d’accompagnamento: rilancimpresa è una buona legge, ma le imprese non devono essere abbandonate, una volta ricevuto il contributo. Non è solamente una questione finanziaria. C’è bisogno di puntellare la cultura imprenditoriale. Vi sono settori molto importanti e promettenti sia dal punto di vista occupazionale che reddituale: l’efficientamento energetico, la green economy, i servizi alla persona. C’è bisogno di innovazione non solo dei processi produttivi, ma anche di prodotto (dati anche i principi sanciti recentemente dalla legge regionale sull’economia circolare).
    Rafforzare l’attività pressante di scouting per le imprese che vogliano insediarsi sul nostro territorio, evitando di diventare facili prede di quel mondo spietato delle multinazionali, rispetto alle cui logiche le democrazie rischiano di essere impotenti, come si è visto in tante crisi.
  • Sostenere lo sviluppo di reti d’impresa e tra impresa, mondo della formazione e dell’istruzione. Il binomio ricerca-innovazione passa anche attraverso la ricerca di base sulla quale deve esserci maggiore investimento. Per anni il punto di forza del settore produttivo regionale è stata proprio la presenza di piccole e medie imprese, che ora devono affrontare un contesto globalizzato e la sua sfida competitiva. Essere i migliori sub-fornitori non dà più garanzie di sostenibilità. Si devono creare reti che possano sostenere l’acquisizione di competenze lungo tutta la filiera. Le PMI individualmente non sono in grado di resistere. È necessaria dunque un’innovazione anche culturale, che la Regione ha il compito di aiutare, proprio per evitare la cannibalizzazione delle nostre produzioni di qualità da parte delle multinazionali con il rischio di inaridire il nostro comparto produttivo (come purtroppo abbiamo avuto modo di osservare in questi anni). Questo è un processo avviato ma che va rilanciato con forza.
  • Considerare il tema della pianificazione territoriale, assieme a quello delle infrastrutture,  determinante per la competitività delle nostre imprese ma anche fattore di attrattività per eventuali nuove che volessero insediarsi. Una visione lungimirante di evoluzione del territorio non può che portare benefici, oltre che favorire l’armonizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture con l’ambiente circostante.
  • Valorizzare l’autorità unica della portualità, nonché il porto franco di Trieste, come opportunità di sviluppo per l’intero territorio regionale e non solo per la costa. Va promossa una visione del FVG come porto-regione che si evidenzia attraverso tutti i nodi intermodali della regione.
  • Rilanciare il comparto edilizio  con ulteriori misure rispetto alla riqualificazione degli edifici esistenti, l’efficentamento energetico e l’adeguamento antisismico. Molto è stato fatto in questa legislatura ma è un percorso che va rafforzato razionalizzando gli strumenti a disposizione. Vanno soprattutto varate norme edilizie cogenti che impongano una gestione dell’energia, del calore e dell’acqua responsabile a fronte delle drammatiche prospettive dei mutamenti climatici in arrivo.
  • Valorizzare il turismo e i beni culturali in un’ottica lungimirante e di pianificazione territoriale, che possa creare opportunità di sviluppo e di lavoro, ma anche mettendo a sistema questa valorizzazione in un’ottica di creazione di imprese (molto interessante a tal proposito potrebbe essere la costituzione di cooperative che operino nel settore) multifunzionali, alla stregua di quanto avviene in agricoltura. Questo per permettere un’occupazione stabile e dignitosa.
  • Favorire le imprese di turismo sostenibile e accessibile. Il FVG autentico “compendio dell’universo” va valorizzato per tutti.
  • Investire in agricoltura sul biologico, incentivando colture di qualità e fortemente caratterizzanti il territorio: in un contesto globalizzato pensare di poter continuare con colture intensive, ad esempio di mais, sfidando i grandi granai dell’est Europa o del nord America, rischia di essere una strategia che non valorizza il territorio e che non produce reddito per gli agricoltori. Inoltre servirebbe incentivare maggiormente la costituzione di filiere corte, migliorando i processi di trasformazione e successiva commercializzazione.
  • Sviluppare il tema della “banca della terra”, in modo da avere cognizione dei terreni da poter assegnare a nuove imprese agricole, che non possono essere sovvenzionate nell’acquisizione di terreni (materia prima per poter iniziare l’attività) dati i vincoli europei; questo rappresenterebbe anche una spinta verso l’autoimprenditorialità e una prospettiva per i giovani.
  • Valorizzare percorsi di conciliazione casa-lavoro e di applicazione delle pari opportunità nel mondo del lavoro.
  • Favorire le iniziative che promuovono la prevenzione e gli stili di vita sani, l’attività fisica dolce, l’invecchiamento attivo e la nascente silver sconomy, a fronte dei mutamenti demografici che vedono la nostra popolazione invecchiare. Il settore dei servizi alla persona va curato e formato, non dimentichiamo il crescente popolo delle “badanti” che necessita di formazione e attenzione.

ECONOMIA VERDE E CIRCOLARE

riduzione delle emissioni

efficientamento energetico

mobilità sostenibile

Il 2015 ha segnato una svolta nella storia dell’umanità e del suo rapporto con il pianeta.

Nel 2015 l’ONU ha varato i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile (17 SDG’s), si è tenuto il COP21 sul Clima e l’UE ha varato una robusta Agenda Urbana. 

Ormai non ci sono più dubbi, le prospettive di sostenibilità del pianeta sono preoccupanti, se non viene ridotta drasticamente l’emissione di gas serra.

La riduzione delle emissioni da combustibili fossili deve essere obiettivo etico primario di qualsiasi azione politica.

Il Patto dei Sindaci 202020 ha risvegliato le coscienze di molti centri urbani, ma gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sono molto più ambiziosi. Tutti devono farsene carico, per il benessere immediato, ma soprattutto per quello delle generazioni future. Se il debito sovrano è poco rispettoso dei cittadini che verranno domani e lo dovranno pagare, così bloccare i processi antropici che provocano l’aumento di temperatura e i conseguenti mutamenti climatici è doveroso verso chi verrà dopo di noi. È già tangibile in modo preoccupante la traccia su tutti i bilanci pubblici dell’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi, ma il rischio dell’effetto valanga è molto alto.

Oltre alla riduzione delle emissioni da fonti fossili, altrettanto attenta deve essere la cura verso le risorse naturali: acqua, aria, biodiversità. 

Non ci può essere una politica di sinistra che non ponga come centrali i temi della qualità dell’aria, dell’acqua e la tutela dell’ambiente.

L’opportunità dell’efficienza energetica è una delle principali risposte che le Pubbliche Amministrazioni possono dare per rilanciare il settore economico e fornire un migliore servizio alla comunità.

L’economia verde può essere declinata sia come efficientamento energetico degli edifici e dei processi, sia come sviluppo sostenibile in tutti i settori, dal primario al terziario avanzato, con particolare riferimento alla casa e all’edilizia. Inoltre vanno promosse dinamiche di economia circolare, aumentando così la capacità di autorigenerazione del sistema produttivo e la sua resilienza.

Il modello lineare di sviluppo non tiene conto dei limiti delle risorse e va dunque abbandonato in tutte le politiche. 

Infine, puntare sulla mobilità sostenibile significa al tempo stesso rendere più efficiente il trasporto e diminuire gli impatti ambientali e sociali.

Azioni concrete per un’economia verde e circolare

  • Sviluppare il Total Smart Energy Grid in coerenza con l’indirizzo strategico dell’Unione europea. Sul modello di quanto già fatto per il teleriscaldamento nella zona di Udine Nord, il completamento dell’intera cablatura della città di Udine e del suo hinterland con un progetto analogo su Udine Sud (che sfrutta il surplus di energia della ABS che attualmente va dispersa) vanno sviluppate azioni di sistema nei distretti e nelle zone industriali (come è avvenuto a Manzano per il Distretto della sedia) realizzando reti di teleriscaldamento per mettere a sistema le fonti industriali di maggiore inquinamento ambientale con i poli urbani di maggiore consumo e lavorando sul dialogo energetico fra reti di teleriscaldimento diverse.
  • Sviluppare linee costiere di pompe e scambiatori di calore per sfruttare l’energia del mare.
  • Superare la misura di agevolazione della benzina che costa alla Regione 50 milioni l’anno ma non si traduce più in sconti effettivi per i suoi abitanti, dato che proprio a causa di questi incentivi il prezzo della benzina è più alto rispetto ad altre zone d’Italia. Queste risorse vanno liberate a favore dello sviluppo sostenibile, dell’efficientamento, della costruzione di una filiera dell’energia rinnovabile
  • Rafforzare le azioni di recupero del patrimonio edilizio esistente e di efficientamento energetico, anche per dare risposte al comparto edilizio. Il retrofitting degli edifici storici è un settore importante di specializzazione ancora poco esplorato, che proprio il nostro paese, e la nostra regione con la sua grande tradizione edilizia, possono occupare da protagonisti nel futuro.
  • Tradurre la nuova legge sull’economia circolare in piani e azioni concrete, incentivando la creazione di un ciclo di recupero e riutilizzo dei rifiuti, promuovendo attività specifiche volte a sostenere l’avvio di nuove imprese che operano in questo settore.
  • Dar seguito alla legge sulla Difesa del Suolo, di cui finalmente la Regione si è dotata e che permette di varare un grande piano per la difesa preventiva del suolo della regione da frane e alluvioni, evitando che i finanziamenti vadano dispersi in maniera arbitraria. Sono stati avviati le prime azioni e i primi finanziamenti. Va dunque perseguito il completamento della Riforma e delle leggi sulla Difesa del suolo chiarendo meglio la distinzione fra i compiti di prevenzione affidati alla Direzione ambiente da quelli di urgenza affidati alla protezione civile.
  • Realizzare un nuovo grande Piano per la mobilità sostenibile incentrato sul trasporto pubblico.  Promuovere uno sviluppo equilibrato del trasporto pubblico locale in tutta la regione, distinguendo le diverse esigenze fra aree urbane e aree non urbane e livellando il nuovo sistema regionale verso l’alto.
  • Sviluppare la Rete della mobilità lenta, puntando su Zone 30 nei centri urbani, e anche Zone TPP (zone a Traffico Pedonale Privilegiato) potenziando la rete delle piste ciclabili urbane ed extraurbane e lo sviluppo della rete E-bike, da sfruttare anche in chiave turistica. Potenziare le reti di bike-sharing e car-sharing elettrico.
  • Proseguire nel processo di risanamento dei grandi impianti industriali inquinanti, come la Ferriera di Servola. Innanzitutto agendo sulle autorizzazioni integrate ambientali come strumenti dinamici in grado di assumere come riferimento le migliori tecnologie disponibili e di compararle con i risultati ottenuti nel contenimento delle emissioni. In contemporanea portando a termine gli studi epidemiologici sulla popolazione coinvolta. L’obiettivo è quello di contemperare la riduzione dell’impatto ambientale, la tutela della salute e il mantenimento dei livelli occupazionali. Anche in un quadro di mantenimento delle emissioni entro i limiti stabiliti da leggi ed autorizzazioni, i processi di riconversione dei grandi impianti industriali e la eventuale revisione di precedenti accordi di programma potranno essere accompagnati dalla Regione se sostenuti da adeguati investimenti economici – da parte di imprese a cui siano state descritte le potenzialità industriali delle aree interessate – e dal mantenimento di adeguati livelli occupazionali che prevedano anche il reimpiego dei lavoratori coinvolti nella produzione
  • Rivisitare la L. 42/96 sulle aree protette, conseguendo obiettivi di maggiore protezione della natura affinchè quest’ultima diventi motore di sviluppo del territorio: turismo ambientale, agricoltura di qualità e filiere corte, sinergia con il sistema dei beni culturali, sviluppo di una strategia per lo sviluppo dell’economia legata al turismo culturale e ambientale. Andranno apportate correzioni di governance del sistema, evitando che siano i Comuni ad affrontare da soli l’impatto dei grandi progetti che interessano Parchi e Riserve della  regione.
  • Introdurre e, là dove esistente, potenziare, il sistema di monitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua, nonché di computo del bilancio energetico. E istituire norme adeguate di controllo.
  • Introdurre nuove leggi che rendano più facilmente perseguibile l’innovazione sociale e la gestione dei “beni comuni”. È questo un settore in forte sviluppo che coniuga la responsabilità individuale a quella collettiva, favorisce la partecipazione e la condivisione; permette inoltre di realizzare quel brokeraggio sociale, ovvero quell’intermediazione sociale, che supera i modelli top-down e bottom-up, liberando energie, creatività e potenzialità altrimenti inespresse o latenti.

EUROPA
Friuli Venezia Giulia: da Regione di confine a Regione-ponte

Quella di essere una “Regione ponte” rappresenta, per il Friuli Venezia Giulia, una vocazione storica. Un territorio posizionato nell’Europa centro-orientale, e sbocco al mare di quest’ultima, deve potersi raccordare in maniera rilevante e il più possibile diretta con il Paese e con i territori confinanti, per cogliere al meglio le occasioni offerte dall’integrazione e dalle sinergie culturali, sociali ed economiche. È necessario proseguire con ancora maggiore convinzione nel rafforzamento di collegamenti ferroviari, portuali, aeroportuali, oltre che investire nelle infrastrutture di comunicazione digitale, sempre più decisive in un’economia della conoscenza.

Azioni concrete per una Regione-ponte

  • Sfruttare appieno il nuovo Polo intermodale di Ronchi, utilizzando e potenziando la rete esistente di collegamenti ferroviari regionali, migliorando e velocizzando i collegamenti sia verso Venezia e l’Italia, sia verso Austria e Slovenia con particolare riferimento a Capodistria, Lubiana e Vienna.
  • Consolidare le scelte sulla portualità, assunte da Comune, Authority e Regione in una coerente ottica di sistema, che hanno tolto il porto di Trieste da anni di immobilismo e lo hanno inserito in una moderna ottica regionale. È necessario rafforzare, in questa prospettiva, lo sviluppo di un sistema regionale della portualità e della logistica e la cura delle relazioni internazionali necessarie ad alimentarlo, valutando la realizzazione di un vero e proprio Piano regionale della logistica per programmare gli investimenti e le strategie nel settore negli anni a venire.
  • Perseguire il potenziamento dei collegamenti ferroviari, valutando con attenzione le richieste di razionalizzazione e di dismissione di tratte impattanti richieste dai cittadini. Monitorare il traffico su gomma e vanno studiate misure alternative al traffico e di mitigazione dell’alto impatto ambientale che la terza corsia sta provocando e provocherà.
  • Dar seguito alle iniziative del Programma ERMES (Excellent Region in a Multimedia European Society) per l’abbattimento del digital divide attraverso la cablatura della regione con la fibra ottica, tra le quali vi è la cessione in uso, a seguito di procedure ad evidenza pubblica, di quote dell’infrastruttura regionale a banda larga, eccedenti le necessità della Pubblica Amministrazione. Il digital divide che vede alcuni cittadini della regione svantaggiati rispetto ad altri (si pensi al territorio montano e agli abitati marginali) va progressivamente colmato.
  • Promuovere l’alfabetizzazione digitale della cittadinanza, soprattutto anziana, senza lasciare indietro le fasce più deboli e tenendo conto che il digital divide non è solamente una questione infrastrutturale, ma anche sociale. Il fattore abilitante delle tecnologie digitali è tale solamente se lo è per tutti, altrimenti accresce le disuguaglianze.UNA REGIONE APERTA
    progettare e lavorare per l’inclusione e per i diritti di tutti e per tutti

L’Europa e l’Italia stanno vivendo una fase regressiva che si caratterizza per un sempre più esplicito rifiuto del riconoscimento dell’universalità dei diritti fondamentali dell’individuo a favore di un nuovo approccio basato sul riconoscimento dei diritti solo a chi può vantare appartenenza al corpo sociale dominante o maggioritario.

Si tratta di appartenenze declinate, spesso in modo assai confuso, su presunte identità etniche, culturali, linguistiche, religiose e persino razziali poichè si assiste a un’inedita ripresa di razzismi, ancora confinati – ma per quanto? – a gruppi estremisti.

Si avverte una spinta crescente a concepire forme di società aventi caratteristiche del tutto contrapposte alle “società aperte”. Sono “società chiuse” in cui l’esercizio dei diritti fondamentali è subordinato all’appartenenza, anche solo presunta, dello stesso individuo al gruppo che detiene le regole del gioco.

In tale scenario il “diritto” perde le sue caratteristiche essenziali per tramutarsi in forme di “privilegio”. 

La crescente insofferenza verso gli stranieri e l’esplicita xenofobia manifestata da diverse formazioni politiche rientra in questo quadro e va contrastata attraverso politiche nazionali e regionali che rimettano al centro la dignità della persona, l’universalità dei diritti fondamentali e il contrasto a ogni forma di discriminazione.

Nelle società chiuse tutti gli individui sono potenziali vittime di discriminazioni che possono esplodere (o restare quiescenti) a seconda del contesto socio-economico del momento e le “ragioni” e le forme di discriminazione sono innumerevoli e in continuo mutamento e intreccio tra di loro: discriminazioni di natura etnica-nazionali, di condizione e appartenenza a un determinato gruppo sociale, di orientamento sessuale…

Il contrasto a ogni forma di discriminazione e l’attivazione di azioni positive a sostegno dell’effettivo esercizio dei diritti da parte dei soggetti più deboli e a rischio di esclusione devono assumere maggiore centralità nella politica regionale. 

Ad esempio, non appare sufficiente istituire un servizio contro le discriminazioni (anche se si è trattato di una scelta importante) ma è necessario attivare un piano regionale finalizzato a sostenere programmi specifici, anche sperimentali, e a fare formazione al personale della pubblica amministrazione a tutti i livelli.

Inoltre, pur riconoscendo l’importanza delle azioni finora intraprese, le dimensioni assunte dalla piaga dell’omofobia e del bullismo sono inquietanti, anche in FVG. Appare quindi necessario adottare un nuovo e più energico piano regionale di intervento su questi temi che riguardi tutti gli ambiti (sanitario, scolastico, culturale) e valutare se non sia opportuna l’adozione di norme regionali in materia di omofobia, al pari di quanto fatto in altre regioni.

Per quanto riguarda l’inclusione dei minori, registriamo che nel giro di pochi anni la media degli alunni stranieri, o aventi almeno un genitore straniero o di seconda generazione, si attesterà attorno al 40% nelle principali aree urbane e in alcune località supererà il 50%. Si tratta di un cambiamento interno al sistema scolastico e sociale che va affrontato con strumenti nuovi che rafforzino gli interventi positivi già fatti dall’amministrazione regionale uscente. In particolare è necessario:

  • Prevedere che le competenze all’insegnamento della lingua italiana quale seconda lingua diventino patrimonio comune al corpo docente.
  • Rafforzare la mediazione linguistica nelle scuole.
  • Rafforzare notevolmente l’intervento dei centri di educazione permanente per gli adulti in modo che il numero e la qualità dei corsi disponibili siano effettivamente parametrati al numero degli stranieri adulti e al relativo bisogno formativo, con una particolare attenzione alle donne.
  • Dar seguito alla nuova legge regionale sull’integrazione sociale dei cittadini stranieri (L.R 7 aprile 2017, n. 47) che ha rimediato all’indecorosa cancellazione avvenuta nella precedente legislatura della previgente legge regionale in materia (L.R. 5/2005) e che ha rappresentato un’importante scelta di civiltà. Tuttavia è intervenuta con notevole ritardo nel corso della legislatura. Gli interventi previsti dalla legge regionale, specie in relazione alle scuole e ai minori stranieri non accompagnati, vanno rafforzati.

Per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti asilo in FVG, la situazione è assai critica. Infatti, nonostante ci siano nella regione sistemi di eccellenza cui si guarda come modelli a livello nazionale (come nel caso – ma non solo – dell’esperienza triestina dell’accoglienza diffusa), gran parte degli interventi regionali sono ancorati all’accoglienza straordinaria (CAS), spesso erogante servizi meramente essenziali e senza alcuna attenzione ai processi di inserimento sociale dei beneficiari.

Se in tutto il territorio nazionale si registra purtroppo una mancata attuazione delle disposizioni previste dal D.Lgs 142/2015 con un sistema SPRAR che raggiunge a malapena il 20% dei posti complessivi, in FVG questa percentuale scende addirittura sotto il 10% confinando la nostra regione tra le peggiori in Italia.

Si tratta di una seria sconfitta che va riconosciuta e alla quale bisogna reagire al più presto in quanto la cattiva accoglienza, anche in FVG, è fonte alla quale si alimentano forze sociali e politiche regressive il cui impatto sulla vita pubblica locale è allarmante. La ratio della norma nazionale è quella di portare progressivamente il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e di integrazione sociale dei rifugiati nell’ambito dei servizi socio-assistenziali del territorio, con attribuzione alle amministrazioni locali dei compiti di gestione dell’accoglienza, in attuazione dell’art. 118 della Costituzione. La programmazione, la gestione e il finanziamento del sistema di accoglienza è di competenza statale, ma la Regione Autonoma FVG ha facoltà di adeguare alle sue esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e di attuazione in alcune materie come l’assistenza sociale. Ciò ha permesso alla Regione di sperimentare forme innovative di welfare quali quelle previste dalla L.R. 35/2017.

Senza alcun contrasto ma a integrazione delle misure previste dalla legge nazionale (D.Lgs 142/2015) la Regione FVG dovrebbe:

  • Dotarsi di un Piano regionale sull’accoglienza, in accordo con le competenti Autorità statali che vincoli maggiormente le amministrazioni comunali e le UTI ad attivare, sulla base di quote stabilite sulla base di parametri oggettivi, programmi locali di accoglienza inseriti nella programmazione socio-assistenziale territoriale, superando l’aleatorio criterio della volontarietà che ha creato situazioni disomogenee e gravi disfunzioni.
  • Concordare con le autorità statali che, nelle more dell’effettiva piena implementazione dello SPRAR in tutto il territorio regionale, tutti i titolari di protezione internazionale o umanitaria usufruiscano di un periodo di accoglienza successivo al riconoscimento giuridico che consenta di attivare percorsi di inserimento sociale evitando di “gettare in strada”, come ora avviene quasi ovunque in regione, persone che hanno pieno titolo a rimanere in Italia per un riconosciuto diritto di protezione ma che sono interamente privi di mezzi economici e che finiscono inevitabilmente nella marginalità sociale con serie ricadute per la sicurezza sociale della comunità.
  • Concordare con le autorità statali un diverso modello di gestione della prima accoglienza che eviti le gravi e indecorose situazioni di abbandono che si producono da alcuni anni in diversi territori e specie a Gorizia.

La parità di trattamento dello straniero regolarmente soggiornante nell’accesso alle prestazioni sociali rispetto al cittadino italiano costituisce, in Italia come in Europa, un obiettivo fondamentale per garantire una società più giusta e più coesa ed evitare situazioni di emarginazione e di conflitto sociale.
Ma anche per garantire una effettiva mobilità dei lavoratori, componente essenziale per la crescita economica. Il mancato intervento legislativo in questo campo e la generale confusione normativa sulla materia ha largamente contribuito ad alimentare la deriva xenofoba attuale imperniata sul grido di battaglia “prima gli italiani”.

Ogni forma di sostegno alla famiglia e all’inclusione attiva nonché altra forma di sostegno al reddito che spesso (e con difformità sul territorio nazionale) viene limitata ai soli titolari di permesso di lungo periodo, ai familiari di comunitari e ai titolari di protezione internazionale è iniqua e irragionevole perché esclude proprio quelle categorie che si trovano presumibilmente in condizioni di maggiore povertà, non avendo potuto accedere al reddito minimo necessario per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo. Occorre pertanto, anche al fine di evitare una vergognosa guerra tra poveri, che le prestazioni di supporto sociale siano erogate a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti che si trovino nella effettiva situazione di bisogno a parità di condizione con i cittadini. Su questo aspetto la Regione FVG oltre a gestire le proprie risorse in materia di assistenza deve agire affinché le altre regioni e lo Stato si allineino alla medesima prospettiva di equità e giustizia, rivedendo molte scelte inopportune realizzate finora.

CULTURA

FVG: prima regione in Italia nel sostegno alle attività culturali

investire nei beni culturali, anche periferici

investire nel turismo culturale

Nell’ultima legislatura, dopo un periodo di stallo per assenza di un vero progetto, di una visione mirata e di una programmazione efficace, la Regione Friuli Venezia Giulia ha messo in atto un disegno organico per i beni e le attività culturali del Friuli Venezia Giulia, che ha visto i suoi cardini in alcuni processi normativi:

  1. Legge regionale 11 agosto 2014 , n. 16, Norme regionali in materia di attività culturali
  2. Legge regionale 25 settembre 2015, n. 23, Norme regionali in materia di beni culturali
  3. Legge Regionale 25 febbraio 2016, n. 2, Istituzione dell’Ente regionale per il patrimonio culturale – ERPAC e disposizioni urgenti in materia di cultura
  4. Modifica della LR 10/2006 sugli Ecomusei del Friuli Venezia Giulia e revisione del regolamento

Con la nuova legge sulla cultura si è reso più trasparente il sistema dei contributi, introducendo in quasi tutti i settori il sistema del bando. Sono aumentati molto i finanziamenti.

Oggi il FVG è la Regione italiana che investe di più in attività culturali.

In particolare la nuova Legge regionale sui beni culturali delinea un generale processo di cambiamento e innovazione della legislazione concernente la valorizzazione dei beni culturali, con riferimento anche al settore dei musei e delle biblioteche.

Anche a causa dei vincoli di bilancio sulle spese di investimento, è rimasta però al palo la politica degli investimenti sui beni e sul patrimonio culturale e ambientale: è un settore su cui bisogna ricominciare ad investire. È un passo necessario anche per favorire il turismo culturale e ambientale, una tipologia di turismo stabile e poco soggetto alle oscillazioni del mercato che, come noto, dipendono spesso da contingenze della politica internazionale.

Parallelamente, è necessario lavorare a un piano di investimenti per il turismo, sia in termini di promozione che di infrastrutturazione: stiamo vivendo una congiuntura molto positiva, ma la nuova clientela turistica va fidelizzata rilanciando l’offerta. Un massiccio investimento sulle strutture ricettive è già stato fatto, sebbene in de minimis, ma va reso continuativo.

Anche in questo settore va inoltre favorito il dialogo tra i vari livelli coinvolti nella gestione del patrimonio culturale. Emblematico il caso di Aquileia dove, a dieci anni dall’istituzione della Fondazione, non si è ancora arrivati a una sintesi  fra assetto urbanistico e attività archeologico-monumentali, ma dove i significativi interventi degli ultimi anni e la spinta positiva impressa dal recente rinnovo dell’accordo tra MiBACT e Regione, foriera di importanti prospettive, devono essere affiancati da un’azione costante di monitoraggio e pieno coinvolgimento delle comunità.

La cultura si colloca dunque in un quadro che ha alcune note negative, ma conta su un contesto generale positivo in cui occorre procedere, innovare e mirare alla qualità.

Azioni concrete per la valorizzazione culturale

  • Cultura come priorità strategica per la crescita individuale e di comunità e patrimonio culturale come bene comune; la Convenzione di Faro 2005 (che sta seguendo attualmente in Italia l’iter parlamentare di ratifica con il Ddl S.2795) delinea un profondo cambiamento culturale in atto, con una nuova identificazione del patrimonio e dei paesaggi culturali: dal valore in sé dei beni culturali a quello che i cittadini possono fruire: dal “diritto del patrimonio culturale” al “diritto al patrimonio culturale” ovvero al diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio da quel patrimonio.
  • Cultura da intendere come complesso di beni e attività, che diventano opportunità di lavoro e di reddito.
  • Integrazione efficace e più consapevole tra cultura e turismo, rilanciando la qualità progettuale e ponendo i sistemi turistici al servizio della valorizzazione del patrimonio, per la riqualificazione della stessa offerta turistica in senso culturale.
  • Visione globale e organica dei beni culturali che ponga al centro il paesaggio, la sua stratificazione e complessità, attraverso la ricomposizione di quel tessuto connettivo che comprende non solo i grandi “fulcri” (grandi monumenti, aree archeologiche importanti, opere d’arte di pregio) ma anche il patrimonio diffuso che caratterizza il nostro territorio; insieme costituiscono un sistema, un “palinsesto vivente”, che ci restituisce la storia delle relazioni tra l’ambiente e i gruppi umani nei secoli.
  • Cultura e istituzioni culturali come scenari di politiche attive di accoglienza, aggregazione e inclusione; i musei, le biblioteche, gli archivi possono essere luoghi vivi, radicati nel territorio, pertanto capaci di leggerne anche il cambiamento in termini demografici e culturali; possono essere strumenti educativi di grande forza, non solo per il pubblico “colto”, medio-alto che solitamente li frequenta, ma anche per quelle categorie sociali che ne sono ancora escluse.
  • Partecipazione attiva dei cittadini, associazioni, enti locali, Università, scuola, in un processo di conoscenza accessibile e inclusiva, in grado di garantire politiche efficaci di tutela e valorizzazione.

Proponiamo quindi per il settore dei beni e delle attività culturali una serie di interventi che si innestano su questi punti programmatici, potenziando, laddove possibile, il lavoro avviato:

  • Valorizzare le reti museali (previste dalla nuova legislazione regionale), ecomuseali e delle fototeche, così come dei sistemi bibliotecari con progetti di affiancamento e sostegno, con l’obiettivo della riqualificazione generale delle istituzioni culturali del territorio, che vede, accanto ad alcune eccellenze, un pulviscolo di realtà non ancora dotate degli standard di qualità oggi richiesti.
  • Incentivare l’occupazione giovanile e anziana nelle istituzioni culturali e la nascita di start-up nel settore delle attività culturali con bandi e azioni specifiche.
  • Valorizzare il patrimonio diffuso, anche quello apparentemente “minore”, attraverso una segnaletica regionale, una serie di percorsi fruibili anche attraverso la mobilità lenta e l’ausilio di applicazioni tecnologiche, una maggiore disponibilità e accessibilità dei beni (orari di apertura e soluzioni di accesso e fruizione per tutti).
  • Coordinare in misura maggiore e più efficace cultura e turismo, in particolare attraverso una formazione specifica rivolta sia agli operatori culturali e turistici, perché abbiano piena conoscenza delle risorse culturali del territorio e sappiano adottare soluzioni adeguate e rispettose del patrimonio.
  • Valorizzare il profondo legame esistente tra patrimonio culturale e pianificazione paesaggistica, attraverso il monitoraggio e il contributo agli strumenti per la pianificazione e gestione del territorio (Piano Paesaggistico Regionale, Programma di sviluppo rurale, ecc.) e alla riforma degli enti locali.
  • Favorire l’emergere di nuove realtà nel settore delle attività culturali, accanto a quelle già esistenti, e sostenere la diffusione delle produzioni artistiche a livello regionale, nazionale e internazionale.
  • Pianificare i bandi e i contributi destinati al settore delle attività in maniera più flessibile rispetto al panorama multidisciplinare in cui le arti comunicano tra loro.
  • Incentivare programmi di educazione al patrimonio e alle attività culturali, teatrali e dell’audiovisivo,  anche attraverso ulteriori incentivi alle scuole e alle istituzioni e associazioni per progetti di audience development.
  • Potenziare le politiche per le pari opportunità nelle istituzioni e nelle attività culturali e continuare a premiare i progetti che favoriscano l’inclusione e il rispetto dei diritti umani.
  • Favorire con strumenti adeguati i contatti, le collaborazioni e le reti internazionali, usando come modello la significativa esperienza in questo ambito del Fondo regionale per l’audiovisivo, che ha consentito ai produttori locali di crescere a livello internazionale, organizzando dei momenti di incontro e di networking a livello europeo, nonché altre possibilità di professionalizzazione

LAVORO e WELFARE

investire sulla formazione, riqualificare le competenze, fare rete con le imprese

redistribuire le risorse a tutti i cittadini della Regione

rinforzare le misure per il contrasto alle povertà

È sempre più ampio il numero di cittadini che vivono in una situazione lavorativa di precarietà. Gli interventi di welfare di tipo tradizionale (mobilità, cassa integrazione) non sono più sufficienti o addirittura, in molte situazioni di crisi aziendali, non sono più praticabili.

La situazione di precarietà diffusa che il Jobs Act intendeva affrontare, perdura oggi nella sua criticità. Non abbiamo risolto il problema con quei provvedimenti.

Le disparità economiche si sono aggravate e l’occupazione è scesa, sia in quantità che in qualità. Il numero degli scoraggiati e inattivi, infatti, è raddoppiato negli ultimi 10 anni. È vero che la la nostra regione ha registrato, dal 2016 in poi, un generale calo della disoccupazione ma se consideriamo anche il dato relativo ai lavoratori che vengono spietatamente descritti dalle statistiche come “gli inutilizzati”, emerge in tutta la sua profondità l’iceberg della mancanza di lavoro.

Dal lato dell’occupazione, il quadro è ancora molto frammentato e asimmetrico. Per alcuni settori e imprese, infatti, il lavoro è fatto di part time involontario e lavori a termine. Cresce così il numero di cittadini che vivono in una situazione lavorativa di precarietà. Delocalizzazione e automazione hanno poi espulso dal manifatturiero tradizionale tanti lavoratori e lavoratrici che, dopo aver trascorso parte consistente della propria vita lavorativa in un’azienda, trovano molte difficoltà nella ricollocazione. La crisi, forse, è superata ma rischia di lasciare sul campo molti feriti e sicuramente un cadavere: quello del lavoro e della dignità del lavoro.

Stiamo entrando in una fase di crescita occupazionale sui generis, in un mercato del lavoro trasformato definitivamente dal periodo che ci siamo lasciati alle spalle. Siamo dentro a una sorta di clessidra dell’occupazione: un mercato del lavoro in cui tende ad assottigliarsi la fascia con qualifiche medie, mentre crescono quella alta e quella bassa. È su quest’ultima che bisogna intervenire per migliorare competenze e prospettive.

La precarietà si combatte creando condizioni perché vi sia lavoro stabile e di qualità: le società più sane sono quelle meno squilibrate.
I dati sono inequivocabili: vi è maggior benessere nelle nazioni quando la ricchezza non è concentrata nelle mani di pochi.

Gli indicatori aggregati danno valutazioni falsate, solamente gli indici di concentrazione danno una misura reale del disagio sociale, superando quella statistica secondo cui, se una persona mangia un pollo e l’altra no, ne mangiano mezzo ciascuno.

È indispensabile ridurre le disparità, ovvero quelle differenze che sono ingiuste. Altrimenti continueranno a crescere la preoccupazione e la paura, e da queste il risentimento che sfocia infine nell’odio e nella conflittualità.

Per contrastare la tendenza alla polarizzazione, le politiche attive per il lavoro fino a ora sostenute devono essere, ancora di più, articolate su ogni singolo comparto produttivo e sulle connessioni tra comparti, facendo leva sulla strategia di specializzazione intelligente impostata dalla Regione.

Politiche che puntino congiuntamente allo sviluppo di impresa e di lavoratrici e lavoratori qualificati, con interventi di formazione incentrati sulla crescita delle competenze, tecniche e trasversali, per elevare complessivamente la qualità del lavoro, sia l’innovazione organizzativa.

Vanno potenziate le misure attive per il lavoro e la formazione.
Va introdotta una forma di reddito minimo, di tipo universale.

Solamente così si potrà non solo dare sollievo alle povertà crescenti, ma accompagnare le persone durante i periodi di transizione e riqualificazione.

Durante la scorsa legislatura regionale, con l’introduzione della MIA (Misura attiva del sostegno a reddito)è stato fatto un passo avanti importante per la difesa del reddito e per la promozione del diritto al lavoro, sul quale è fondata la nostra Repubblica. La nostra Regione, è stat la prima tra le regioni italiane ad adottare questi provvedimento con una scelta universalistica e fortemente inclusiva. L’obiettivo di questa misura è dare risposta al profondo disagio della popolazione giovanile, alleviando i problemi di sussistenza, e promuovere l’empowerment individuale, che è essenziale per la dignità delle persone e delle loro famiglie.

Questa misura va però potenziata per rispondere anche alle esigenze di persone mature espulse da mercato del lavoro che non hanno più i requisiti previsti dagli strumenti di welfare oggi attivi.

Dopo esserci occupati della povertà assoluta, oggi si tratta di aggredire la povertà relativa.

La nuova legge sul sostegno al reddito, ha fatto emergere una parte di popolazione fino ad oggi sconosciuta ai servizi sociali dei Comuni, che ci fa capire come la crisi abbia cambiato la composizione dei ceti sociali, rendendo esplicita l’entità delle nuove povertà. Queste derivano dal processo di impoverimento della classe media: fra i beneficiari della misura, e cioè nella categoria di coloro i quali vivono in condizioni di povertà assoluta, compaiono anche persone non disoccupate che pur avendo uno o più “lavori”, non riescono ad avere un reddito adeguato, e questo vale sia per la categoria dei nuclei monocomponenti sia per le famiglie, in particolare quelle più numerose.

Proponiamo di estendere progressivamente il sostegno al reddito anche ai cittadini in condizione di povertà relativa.

L’introduzione del sostegno al reddito e l’applicazione del nuovo ISEE quale parametro di misura della situazione reddituale, inoltre, rende indispensabile uniformare fra loro tutti gli strumenti del welfare regionale. Andranno individuati criteri validi per tutti che evitino la sperequazione fra nuclei che usufruiscono sia del reddito che, ad esempio, della casa popolare, e nuclei che superano di poco la soglia per entrambi e, non ricevendo contributi, di fatto risultano svantaggiati rispetto ai primi.

Azioni concrete su lavoro e welfare

  • Rafforzare i servizi pubblici per il lavoro, le relazioni con le imprese del territorio e la formazione condivisa;
  • Implementare i servizi di orientamento e formazione permanente per diventare una Regione “che apprende” ossia capace di affrontare i cambiamenti, riconoscendo la centralità della partecipazione;
  • Investire in un sistema efficace di validazione delle competenze acquisite nel corso delle esperienze lavorative;
  • Finanziare lavori di pubblica utilità per persone vicine alla pensione che hanno perso il lavoro;
  • Stabilizzare la misura di sostegno al reddito nel bilancio regionale;
  • Innalzare le soglie di reddito, estendendo e potenziando la misura aggredendo così anche la povertà relativa;
  • Uniformare fra loro gli strumenti di welfare (integrando il MIA anche con le agevolazioni per la casa e i trasporti pubblici);
  • Varare il nuovo Piano del sociale, atteso da anni, che dovrà tenere conto della nuova misura e del nuovo sistema di welfare così ridisegnato;
  • Promuovere azioni per l’irrobustimento delle reti sociali.

Tutte le azioni verranno promosse in un’ottica di welfare generativo, ovvero un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività.

FUTURE GENERAZIONI

offrire a tutte/i le/i ragazzi/e una formazione adeguata

riportare in regione i cervelli in fuga

La regione FVG ha una forte tradizione di eccellenza e di innovazione nel settore scolastico pubblico che rischia di essere indebolita a vantaggio di una scuola privata.

Uno dei principali obiettivi è la regionalizzazione del sistema scolastico regionale.

Si tratta di interpretare la nostra autonomia regionale con senso di responsabilità e iniziare un percorso che ci permetta di acquisire progressivamente tutte le competenze.

Una disponibilità di massima in direzione di tale trasferimento di competenze è stata già tenuta presente nell’Atto aggiuntivo al Protocollo d’intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, sottoscritto in data 21 dicembre 2007. L’articolo 8 dell’Atto dice, infatti, che «Il Governo e la Regione condividono l’opportunità di avviare, nelle forme costituzionalmente previste, il percorso atto a trasferire alla Regione le funzioni in materia di istruzione, nel quadro delle linee emergenti a livello nazionale. Il trasferimento di cui al comma 1 avverrà secondo principi di gradualità, conformemente alle linee interpretative ed operative che saranno definite in sede di Conferenza unificata, fatte salve le prerogative dello Statuto di specialità».

Si ricorda che, in sede di Conferenza delle Regioni nel 2010, è stato definito il testo di un “Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane concernente le finalità, i tempi e le modalità di attuazione del Titolo V, Parte II della Costituzione, in materia di istruzione”, che contiene la seguente disposizione per le Regioni autonome: «Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente accordo nell’ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione e secondo quanto disposto dai rispettivi ordinamenti».

Numerose sono anche le mozioni approvate dal Consiglio regionale recanti linee di indirizzo politico alla componente regionale della Commissione paritetica per l’adeguamento ai maggiori spazi di autonomia e l’acquisizione di materie implicite, tra cui anche l’istruzione (mozione n. 74/2010) e per l’acquisizione di funzioni amministrative esercitate dagli organi periferici del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nonché per il recepimento di quanto previsto dal d.lgs. n. 112/1998 (mozione n. 42/2014). A ciò si aggiunge l’attività della Commissione paritetica, la quale ha ribadito in più occasioni l’importanza dell’approvazione di specifiche norme di attuazione dello Statuto regionale nella materia dell’istruzione.

Si tratta, dunque, di continuare su questa strada e ottenere, come primo passo, la regionalizzazione dell’ufficio scolastico regionale, realizzando le seguenti azioni:

  • Creare un ufficio con fondi regionali dedicati che permettano di ottenere sostegno per la partecipazione a bandi europei e nazionali. Non tutte le scuole, infatti, sono in grado, come le più grandi, di concorrere all’ottenimento di questi fondi per mancanza di personale adeguato.
  • Favorire una maggiore relazione tra sistema della formazione e sistema scolastico.
  • Risolvere i problemi delle scuole che sono situate su più UTI.
  • Garantire sostegno di qualità a studenti e studentesse disabili e favorire protocolli di certificazioni condivisi tra le diverse aziende sanitarie.
  • Garantire l’attenzione necessaria a studenti e studentesse per i quali l’italiano non è lingua madre.
  • Investire ancora e meglio sull’edilizia scolastica (proseguendo gli importanti passi avanti sostenuti da programmazione e investimenti rilevanti).
  • Individuare e finanziare per ogni UTI un nucleo di tecnici, provenienti dagli istituti in cui sono presenti queste professionalità, che occupandosi di controllo e manutenzione, rendano fruibili tutti i laboratori informatici del territorio di pertinenza.
  • Sostenere un’alternanza scuola/lavoro di qualità.
  • Favorire la nascita di un’associazione, sul modello della Casa degli insegnanti di Torino, per creare opportunità di incontro, scambio, confronto e crescita per gli insegnanti e per tutti coloro che sono coinvolti nel processo educativo di giovani e adulti e far circolare e conoscere le buone pratiche educative e le esperienze didattiche più significative.
  • Incentivare le relazioni tra università, scuola e territorio
  • Favorire il rientro dei cervelli in fuga: attrarre ricercatori e ricercatrici dall’estero e facilitare il rientro in Italia di vincitori ERC; sostenere chi ha presentato un progetto ERC valutato positivamente ma non finanziato; istituire un fondo regionale per la ricerca libera, destinato a docenti non inclusi in altri progetti.RIFORME DEGLI ENTI LOCALI E DELLA SANITÀmaggiore attenzione alle esigenze e alla partecipazione dei cittadini

La riforma degli Enti Locali (UTI) è indispensabile per affrontare la complessità dei nostri tempi, garantendo la qualità dei servizi. Tuttavia, il suo iter di realizzazione è stato problematico, anche perché ha sostituito spesso il principio di collaborazione con quello di autorità. Va perciò rivista in un’ottica partecipativa: non per tornare al passato ma perché la razionalizzazione degli enti locali è urgente per garantire la qualità dei servizi, e perchè è imprescindibile ripristinare un clima di collaborazione e fiducia tra Regione ed Enti Locali ,individuando soluzioni razionali e realizzabili per l’utilizzazione del personale.

La Riforma della Sanità regionale era indispensabile e i principi condivisibili. Tuttavia l’applicazione è risultata faticosa sul piano organizzativo perché hanno spesso prevalso resistenze di poteri consolidati e l’effetto inerziale sugli assetti organizzativi di un’impostazione “ospedale-centrica” che ha ostacolato lo spostamento di energie e risorse sul territorio. L’assetto istituzionale, derivato da valutazioni legate a equilibri politico-istituzionali e a ragioni puramente organizzative, ha rivelato dei colli di bottiglia che è necessario superare, anche mettendo in campo un’azione capillare di ascolto attivo e partecipazione.

Azioni concrete per gli Enti Locali

  • Coinvolgere TUTTI gli amministratori, anche quelli che non hanno ancora aderito, attraverso un percorso partecipativo.
  • Migliorare la governance delle UTI coinvolgendo gli assessori dei comuni.
  • Permettere alle Unioni territoriali e agli Enti Locali di rafforzare il personale per l’applicazione della riforma.
  • Incentivare le opportunità offerte dal Comparto Unico.
  • Definire una riforma dell’Ente Regione per ridurre il centralismo oggi eccessivo e potenziare la multilevel governance.
  • Rinforzare e valorizzare la riforma della finanza degli enti locali Legge 18 – 2015 che ha permesso alla nostra Regione, tra le prime in Europa, di definire con tempistica definita e certezza finanziaria, secondo una strategia di multilevel governance con l’Ente Regione, la pianificazione integrata per un’area vasta (piani: paesagistico, qualità dell’aria, sviluppo rurale, energia sostenibile, mutamenti climatici, mobilità sostenibile) nonché la progettazione e la realizzazione delle opere relative.
  • Mantenere nel nostro ordinamento la previsione delle città metropolitane.

Azioni concrete per la tutela della salute

  • Proseguire nel piano di assunzioni per consentire al personale di operare in condizioni di agibilità e sicurezza, rafforzare la territorialità con delle assunzioni funzionali, percorso già avviato ma che necessita di un’accelerazione. Trovare delle formule di organizzazione che superino gli ostacoli della burocrazia e la mancanza di personale.
  • Velocizzare la realizzazione dei Centri di assistenza primaria sul territorio, rafforzare la domiciliarità delle cure, ridurre da subito i tempi di attesa per la diagnostica più urgente e per le attese nei Pronto Soccorsi.
  • Dare piena attuazione a una politica integrata di promozione della salute e dell’invecchiamento attivo.
  • Proseguire, con l’attenzione dimostrata dalla legislatura uscente, sul tema delle patologie associate all’amianto, investendo risorse sulla mappatura della presenza di amianto sul territorio regionale e potenziando le contribuzioni a pubblico e privato per la sua rimozione e smaltimento.
  • Rinforzare il lavoro di rete tra sistemi, istituzioni, figure professionali.
  • Migliorare la comunicazione all’interno del sistema socio-sanitario ma anche con il cittadino: renderlo più consapevole e informato per evitare falsi allarmismi, proteste ingiustificate, accessi non motivati al pronto soccorso, e favorire comportamenti più responsabili.
  • Migliorare la preparazione delle figure professionali (es. infermieri, MMG, educatori professionali, psicologi, ecc.) affinché sia prevista una formazione specifica sul lavoro in rete/team per creare una cultura della salute più territoriale che ospedale-centrica;
  • Individuare gli interlocutori corretti per dare risposte ai bisogni (maggior integrazione distretti-enti locali).
  • Rinforzare il sistema di assistenza alla domiciliarità (percorsi di dimissioni protette, supporto ai familiari, somministrazione farmaci, comunicazione tra i professionisti delle equipe multidisciplinari e con il paziente), per evitare sprechi di risorse e istituzionalizzazione e ridurre le complicanze.
  • Per le strutture assistenziali e/o residenziali migliorare il sistema di controllo della qualità e per persone autosufficienti pensare a soluzioni di co-housing (anche intergenerazionali).
  • Ragionare sulle peculiarità e differenze tra centri urbani e territorio rurale, sia in termini di servizi che di interventi preventivi.

Parallelamente al miglioramento della riforma sanitaria, è necessario sostenere il sistema sanitario attraverso la valorizzazione del volontariato e del terzo settore, oltre che investire in maniera sempre più decisa sugli aspetti della prevenzione. Sulla prevenzione oggi il maggior investimento è su screening e vaccinazioni e manca il sostegno a programmi di promozione della salute ed educazione a sani stili di vita che mirano anche a una riduzione dei costi socio-sanitari.

Azioni da mettere in campo su volontariato, terzo settore e prevenzione:

  • Garantire un maggior supporto alle realtà associative del terzo settore che collaborano con le istituzioni. Le associazioni del terzo settore si ritrovano spesso a dover rispondere a complesse richieste di gestione di servizi e attività da parte delle istituzioni, anche con grandi responsabilità. Avrebbero, quindi, necessità di essere aiutate a strutturarsi attraverso un’adeguata formazione dei volontari o collaboratori, di un’accurata informazione sulle procedure amministrative e di una comunicazione efficace al cittadino.
  • Potenziare il Registro delle associazioni di volontariato e promozione sociale della Regione (regionale, del CSV, di progetti specifici) affinché diventi un sistema unico di consultazione.
  • Per le associazioni sportive, fare chiarezza sulla questione dell’obbligo di certificazione presso il medico o il pediatra di base per l’attività sportiva non agonistica.
  • Garantire un ruolo essenziale alla prevenzione e promozione della salute nella programmazione regionale, anche in termini di investimento, ragionando sulle tre linee della prevenzione primaria (educare a sani stili di vita), secondaria (diagnosi precoce di patologie) e terziaria (riduzione delle complicanze).
  • Evidenziare l’importanza della dimensione relazionale nella salute e qualità della vita dei cittadini, per sviluppare azioni di contrasto alla solitudine, di promozione della solidarietà intergenerazionale e del valore del volontariato, di sostegno alle persone a rischio di marginalizzazione o disagio sociale.
  • Istituire un osservatorio permanente sulla prevenzione per analizzare i fattori di rischio e i determinanti di salute, monitorare i risultati delle azioni implementate e per raccogliere le buone pratiche esistenti in regione e favorirne l’applicazione in altri contesti.
  • Favorire la sensibilizzazione/informazione sugli stili di vita fin dal sostegno alla genitorialità e dagli asili nido. Inoltre attualmente non esiste nella programmazione scolastica un percorso permanente sull’educazione a corretti stili di vita ma soltanto la facoltà di aderire a programmi e proposte provenienti da istituzioni ma anche da altre organizzazioni. Si dovrebbe quindi intervenire per la creazione di un piano di educazione capillare e permanente, in particolare per promuovere una corretta alimentazione, l’esercizio fisico, il contrasto alle dipendenze, la salute sessuale, il diritto al gioco.
  • Dare continuità alla recente adesione della Regione alla Rete delle Regioni che promuovono Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO Regions for Health Network) e ai percorsi già sperimentati o in corso nell’ambito della Rete Regionale Città Sane FVG.
  • Favorire interventi infrastrutturali e di riqualificazione urbana che facilitino l’adozione di sani stili di vita, la mobilità sostenibile, l’inclusione sociale (creazione spazi verdi, utilizzo palestre, percorsi ciclo-pedonali, messa in sicurezza di percorsi casa-scuola, accessibilità dei trasporti, ecc.).
  • Incoraggiare programmi e attività di carattere intergenerazionale, anche attraverso una stretta collaborazione con le due università.
  • Le attività di promozione della salute necessitano di un approccio integrato tra tutti i settori dell’amministrazione, i livelli di governo e le componenti della società civile; tuttora si lavora spesso per compartimenti stagni (a canne d’organo). Per questo è necessario promuovere una maggiore consapevolezza sul tema della  salute e un approccio integrato e interdisciplinare in tutti i settori dell’amministrazione.

Non lasciare indietro nessuno: il benessere o è di tutti oppure non è. 

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