LAVORO E WELFARE

redistribuire le risorse a tutti i cittadini della regione 

rinforzare le misure per il contrasto alle povertà

investire sulla formazione,
riqualificare le competenze,
fare rete con le imprese

future generazioni: offrire a tutte/i le/i ragazzi/e una formazione adeguata 

riportare in regione i cervelli in fuga

È sempre più ampio il numero di cittadini che vivono in una situazione lavorativa di precarietà. Gli interventi di welfare di tipo tradizionale (mobilità, cassa integrazione) non sono più sufficienti o addirittura, in molte situazioni di crisi aziendali, non sono più praticabili.

La situazione di precarietà diffusa che il Jobs Act intendeva affrontare, perdura oggi nella sua criticità. Non abbiamo risolto il problema con quei provvedimenti.

Le disparità economiche si sono aggravate e l’occupazione è scesa, sia in quantità che in qualità. Il numero degli scoraggiati e inattivi, infatti, è raddoppiato negli ultimi 10 anni. È vero che la la nostra regione ha registrato, dal 2016 in poi, un generale calo della disoccupazione ma se consideriamo anche il dato relativo ai lavoratori che vengono spietatamente descritti dalle statistiche come “gli inutilizzati”, emerge in tutta la sua profondità l’iceberg della mancanza di lavoro.

Dal lato dell’occupazione, il quadro è ancora molto frammentato e asimmetrico. Per alcuni settori e imprese, infatti, il lavoro è fatto di part time involontario e lavori a termine. Cresce così il numero di cittadini che vivono in una situazione lavorativa di precarietà. Delocalizzazione e automazione hanno poi espulso dal manifatturiero tradizionale tanti lavoratori e lavoratrici che, dopo aver trascorso parte consistente della propria vita lavorativa in un’azienda, trovano molte difficoltà nella ricollocazione. La crisi, forse, è superata ma rischia di lasciare sul campo molti feriti e sicuramente un cadavere: quello del lavoro e della dignità del lavoro.

Stiamo entrando in una fase di crescita occupazionale sui generis, in un mercato del lavoro trasformato definitivamente dal periodo che ci siamo lasciati alle spalle. Siamo dentro a una sorta di clessidra dell’occupazione: un mercato del lavoro in cui tende ad assottigliarsi la fascia con qualifiche medie, mentre crescono quella alta e quella bassa. È su quest’ultima che bisogna intervenire per migliorare competenze e prospettive.

La precarietà si combatte creando condizioni perché vi sia lavoro stabile e di qualità: le società più sane sono quelle meno squilibrate.
I dati sono inequivocabili: vi è maggior benessere nelle nazioni quando la ricchezza non è concentrata nelle mani di pochi. 

Gli indicatori aggregati danno valutazioni falsate, solamente gli indici di concentrazione danno una misura reale del disagio sociale, superando quella statistica secondo cui, se una persona mangia un pollo e l’altra no, ne mangiano mezzo ciascuno.

È indispensabile ridurre le disparità, ovvero quelle differenze che sono ingiuste. Altrimenti continueranno a crescere la preoccupazione e la paura, e da queste il risentimento che sfocia infine nell’odio e nella conflittualità.

Per contrastare la tendenza alla polarizzazione, le politiche attive per il lavoro fino a ora sostenute devono essere, ancora di più, articolate su ogni singolo comparto produttivo e sulle connessioni tra comparti, facendo leva sulla strategia di specializzazione intelligente impostata dalla Regione.

Politiche che puntino congiuntamente allo sviluppo di impresa e di lavoratrici e lavoratori qualificati, con interventi di formazione incentrati sulla crescita delle competenze, tecniche e trasversali, per elevare complessivamente la qualità del lavoro, sia l’innovazione organizzativa. 

Vanno potenziate le misure attive per il lavoro e la formazione.
Va introdotta una forma di reddito minimo, di tipo universale. 

Solamente così si potrà non solo dare sollievo alle povertà crescenti, ma accompagnare le persone durante i periodi di transizione e riqualificazione.

Durante la scorsa legislatura regionale, con l’introduzione della MIA (Misura attiva del sostegno a reddito)è stato fatto un passo avanti importante per la difesa del reddito e per la promozione del diritto al lavoro, sul quale è fondata la nostra Repubblica. La nostra Regione, è stat la prima tra le regioni italiane ad adottare questi provvedimento con una scelta universalistica e fortemente inclusiva. L’obiettivo di questa misura è dare risposta al profondo disagio della popolazione giovanile, alleviando i problemi di sussistenza, e promuovere l’empowerment individuale, che è essenziale per la dignità delle persone e delle loro famiglie.

Questa misura va però potenziata per rispondere anche alle esigenze di persone mature espulse da mercato del lavoro che non hanno più i requisiti previsti dagli strumenti di welfare oggi attivi. 

Dopo esserci occupati della povertà assoluta, oggi si tratta di aggredire la povertà relativa.

La nuova legge sul sostegno al reddito, ha fatto emergere una parte di popolazione fino ad oggi sconosciuta ai servizi sociali dei Comuni, che ci fa capire come la crisi abbia cambiato la composizione dei ceti sociali, rendendo esplicita l’entità delle nuove povertà. Queste derivano dal processo di impoverimento della classe media: fra i beneficiari della misura, e cioè nella categoria di coloro i quali vivono in condizioni di povertà assoluta, compaiono anche persone non disoccupate che pur avendo uno o più “lavori”, non riescono ad avere un reddito adeguato, e questo vale sia per la categoria dei nuclei monocomponenti sia per le famiglie, in particolare quelle più numerose.

Proponiamo di estendere progressivamente il sostegno al reddito anche ai cittadini in condizione di povertà relativa.

L’introduzione del sostegno al reddito e l’applicazione del nuovo ISEE quale parametro di misura della situazione reddituale, inoltre, rende indispensabile uniformare fra loro tutti gli strumenti del welfare regionale. Andranno individuati criteri validi per tutti che evitino la sperequazione fra nuclei che usufruiscono sia del reddito che, ad esempio, della casa popolare, e nuclei che superano di poco la soglia per entrambi e, non ricevendo contributi, di fatto risultano svantaggiati rispetto ai primi.

Azioni concrete su lavoro e welfare

  • Rafforzare i servizi pubblici per il lavoro, le relazioni con le imprese del territorio e la formazione condivisa;
  • Implementare i servizi di orientamento e formazione permanente per diventare una Regione “che apprende” ossia capace di affrontare i cambiamenti, riconoscendo la centralità della partecipazione;
  • Investire in un sistema efficace di validazione delle competenze acquisite nel corso delle esperienze lavorative;
  • Finanziare lavori di pubblica utilità per persone vicine alla pensione che hanno perso il lavoro;
  • Stabilizzare la misura di sostegno al reddito nel bilancio regionale;
  • Innalzare le soglie di reddito, estendendo e potenziando la misura aggredendo così anche la povertà relativa;
  • Uniformare fra loro gli strumenti di welfare (integrando il MIA anche con le agevolazioni per la casa e i trasporti pubblici);
  • Varare il nuovo Piano del sociale, atteso da anni, che dovrà tenere conto della nuova misura e del nuovo sistema di welfare così ridisegnato;
  • Promuovere azioni per l’irrobustimento delle reti sociali.

Tutte le azioni verranno promosse in un’ottica di welfare generativo, ovvero un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività.

FUTURE GENERAZIONI

 

La regione FVG ha una forte tradizione di eccellenza e di innovazione nel settore scolastico pubblico che rischia di essere indebolita a vantaggio di una scuola privata.

Uno dei principali obiettivi è la regionalizzazione del sistema scolastico regionale. 

Si tratta di interpretare la nostra autonomia regionale con senso di responsabilità e iniziare un percorso che ci permetta di acquisire progressivamente tutte le competenze.

Una disponibilità di massima in direzione di tale trasferimento di competenze è stata già tenuta presente nell’Atto aggiuntivo al Protocollo d’intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, sottoscritto in data 21 dicembre 2007. L’articolo 8 dell’Atto dice, infatti, che «Il Governo e la Regione condividono l’opportunità di avviare, nelle forme costituzionalmente previste, il percorso atto a trasferire alla Regione le funzioni in materia di istruzione, nel quadro delle linee emergenti a livello nazionale. Il trasferimento di cui al comma 1 avverrà secondo principi di gradualità, conformemente alle linee interpretative ed operative che saranno definite in sede di Conferenza unificata, fatte salve le prerogative dello Statuto di specialità».

Si ricorda che, in sede di Conferenza delle Regioni nel 2010, è stato definito il testo di un “Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane concernente le finalità, i tempi e le modalità di attuazione del Titolo V, Parte II della Costituzione, in materia di istruzione”, che contiene la seguente disposizione per le Regioni autonome: «Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente accordo nell’ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione e secondo quanto disposto dai rispettivi ordinamenti».

Numerose sono anche le mozioni approvate dal Consiglio regionale recanti linee di indirizzo politico alla componente regionale della Commissione paritetica per l’adeguamento ai maggiori spazi di autonomia e l’acquisizione di materie implicite, tra cui anche l’istruzione (mozione n. 74/2010) e per l’acquisizione di funzioni amministrative esercitate dagli organi periferici del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nonché per il recepimento di quanto previsto dal d.lgs. n. 112/1998 (mozione n. 42/2014). A ciò si aggiunge l’attività della Commissione paritetica, la quale ha ribadito in più occasioni l’importanza dell’approvazione di specifiche norme di attuazione dello Statuto regionale nella materia dell’istruzione.

Si tratta, dunque, di continuare su questa strada e ottenere, come primo passo, la regionalizzazione dell’ufficio scolastico regionale, realizzando le seguenti azioni:

  • Creare un ufficio con fondi regionali dedicati che permettano di ottenere sostegno per la partecipazione a bandi europei e nazionali. Non tutte le scuole, infatti, sono in grado, come le più grandi, di concorrere all’ottenimento di questi fondi per mancanza di personale adeguato.
  • Favorire una maggiore relazione tra sistema della formazione e sistema scolastico.
  • Risolvere i problemi delle scuole che sono situate su più UTI.
  • Garantire sostegno di qualità a studenti e studentesse disabili e favorire protocolli di certificazioni condivisi tra le diverse aziende sanitarie.
  • Garantire l’attenzione necessaria a studenti e studentesse per i quali l’italiano non è lingua madre.
  • Investire ancora e meglio sull’edilizia scolastica (proseguendo gli importanti passi avanti sostenuti da programmazione e investimenti rilevanti).
  • Individuare e finanziare per ogni UTI un nucleo di tecnici, provenienti dagli istituti in cui sono presenti queste professionalità, che occupandosi di controllo e manutenzione, rendano fruibili tutti i laboratori informatici del territorio di pertinenza.
  • Sostenere un’alternanza scuola/lavoro di qualità.
  • Favorire la nascita di un’associazione, sul modello della Casa degli insegnanti di Torino, per creare opportunità di incontro, scambio, confronto e crescita per gli insegnanti e per tutti coloro che sono coinvolti nel processo educativo di giovani e adulti e far circolare e conoscere le buone pratiche educative e le esperienze didattiche più significative.
  • Incentivare le relazioni tra università, scuola e territorio
  • Favorire il rientro dei cervelli in fuga: attrarre ricercatori e ricercatrici dall’estero e facilitare il rientro in Italia di vincitori ERC; sostenere chi ha presentato un progetto ERC valutato positivamente ma non finanziato; istituire un fondo regionale per la ricerca libera, destinato a docenti non inclusi in altri progetti.
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